Fru

L’incontro con Diego le era sembrato sin da subito magico e avvolgente. Tutta la storia d’amore in verità aveva assunto le sembianze di una fiaba moderna, di quelle che si sognano da ragazzine e si deridono da adulte, probabilmente per invidia. Monica si era innamorata subito di quel ragazzo bellissimo, e vederlo darsi da fare per corteggiarla era stato il più bel regalo che il cielo avesse potuto farle. Non era solo gradevole esteticamente, ma anche sicuro e aitante, e dotato di quella particolare intraprendenza che molte donne pubblicamente disprezzano ma segretamente bramano. Le amiche avevano giudicato male quel “giovanotto” pieno di carisma che si adoperava in ogni modo per farle regali e a darle attenzioni, quel tizio dall’aria spaccona che pur di avere un appuntamento era anche arrivato ad imbrattare il muro dell’ufficio in cui lei lavorava con una scritta stupenda, dedica amaramente criticata dalle colleghe ormai carenti di passione e attenzioni. Avevano iniziato a frequentarsi all’alba della primavera, un marzo stranamente caldo. A ventitré anni lo aveva sposato, e quei primi tempi da moglie, seppur circondati da qualche piccola preoccupazione, le avevano fatto un effetto idilliaco. Lavoro ottimale anche se precario, casa graziosa e curata, tanto buon sesso, atmosfera vagamente da film e parenti di lui intenti a chiedersi cosa gli avesse fatto quella “strega” per renderlo tanto innamorato, e devoto. Un susseguirsi di eventi fortunati e armoniosi poi, erano serviti a convincere la donna di vivere proprio in un sogno, di quelli da cui ci si sveglia a malincuore, sempre buttando un occhio sul cuscino. La nipote di Monica, Eva, di sette anni, diceva sempre che se avesse potuto avere due mamme, come seconda avrebbe scelto proprio lei. Sempre così paziente, gentile, umile e dolce nello spiegarle le cose, calorosa e tenera in ogni abbraccio. Sicuri del loro rapporto e sempre più uniti, avevano anche scelto di avere un figlio, senza neanche chiedersi come mai, desideravano solo un ragazzino dall’aria vispa che avrebbe avuto gli occhi meravigliosi di lui, oppure una “bella principessa con la pelle di luna come lei”, aveva enfatizzato Diego, stringendola. Femmina o maschio in verità non faceva molta differenza per la coppia, bramavano quel figlio più di ogni altra cosa al mondo, anche se il mondo è pieno zeppo di meraviglie che nessuno nota. L’incontro con Diego le era sembrato sin da subito magico e avvolgente. Tutta la storia d’amore in verità aveva assunto le sembianze di una fiaba moderna, di quelle che si sognano da ragazzine e si deridono da adulte. Monica si era innamorata subito di quel ragazzo bellissimo, e vederlo darsi da fare per corteggiarla era stato il più bel regalo che il cielo avesse potuto farle. Non era solo gradevole esteticamente, ma anche sicuro e aitante, dotato di quella particolare intraprendenza che molte donne pubblicamente disprezzano ma segretamente bramano. Le amiche avevano giudicato male quel “giovanotto” pieno di carisma che si adoperava in ogni modo per farle regali e a darle attenzioni, quel tizio dall’aria spaccona che pur di avere un appuntamento era anche arrivato ad imbrattare il muro dell’ufficio in cui lei lavorava con una scritta stupenda, dedica amaramente criticata dalle colleghe ormai carenti di passione e attenzioni. A ventitré anni lo aveva sposato, e quei primi tempi da moglie, seppur circondati da qualche piccola preoccupazione, le avevano fatto un effetto idilliaco. Lavoro ottimale anche se precario, casa graziosa e curata, tanto buon sesso, atmosfera vagamente da film e parenti di lui intenti a chiedersi cosa gli avesse fatto quella strega per renderlo tanto innamorato, e devoto. Un susseguirsi di eventi fortunati e armoniosi poi, erano serviti a convincere la donna di vivere proprio in un sogno, di quelli da cui ci si sveglia a malincuore, sempre buttando un occhio sul cuscino. Sicuri del loro rapporto e sempre più uniti, avevano anche scelto di avere un figlio, senza neanche chiedersi come mai, desideravano solo un ragazzino dall’aria vispa che avrebbe avuto gli occhi meravigliosi di lui, oppure una “bella principessa con la pelle di luna come lei”, aveva enfatizzato Diego, abbracciandola. Femmina o maschio in verità non faceva molta differenza per la coppia, bramavano quel figlio più di ogni altra cosa al mondo, anche se il mondo è pieno zeppo di meraviglie che nessuno nota. Dopo neanche molta attesa il desiderio si era avverato, un magico fiocco rosa in arrivo. Era molto avvenente Monica, e suo marito non faceva che ripeterlo, persino col pancione secondo lui guadagnava fascino e femminilità, muovendosi morbida e sensuale nonostante la mole ingombrante. Il tempo era volato fra un passeggino da montare e dei biberon lasciati sulla credenza. E poi, tra l’altro senza troppe complicazioni, finalmente era nata quella bambina stupenda, che tra l’altro le somigliava moltissimo. Poteva essere l’ennesima vittoria, tre cuori, un appartamento, tante malelingue che sparlano per accidia, la famigliola felice avanza e se ne infischia. Ma stavolta non fu così. Quel “fagottino” arrivato nei tempi, senza sforzi, senza problemi, aveva segnato l’inizio della fine e di tutta una serie di fatti a dir poco spiacevoli. Intanto, un serpeggiante senso di malessere si era insediato nella casa da quando le risorse economiche erano bruscamente calate, e le rispettive famiglie avevano deciso che quei due, così innamorati, focosi, e uniti, dovevano vedersela da soli, forse mossi da un pizzico di invidia che nascondevano persino a loro stessi. Diego aveva perso il lavoro, e i risparmi erano quasi terminati. Lei dopo la gravidanza apparentemente tranquilla, si era lasciata andare molto sia in ambito lavorativo che in intimità, i momenti di letto parevano ridotti ad un meccanico e triste su e giù che durava pochi minuti, anche a causa di qualche complicazione post-parto che l’aveva resa dolorante e stanca. Ci sono amanti destinati a restare ardenti nel tempo, a regalare attenzioni infinite alla donna che adorano, e fra questi, se ne celano altri che sanno solo fingere di amare, senza poi saperlo fare realmente. I comportamenti fra gli uni e gli altri si somigliano paurosamente, l’unico modo per distinguerli è far passare del tempo, e vedere se vince la noia o la passione. Dopo appena due anni di convivenza, il suo compagno era diventato più brusco, mantenendo comunque una certa algida gentilezza probabilmente considerata nella norma da quelle donne già infelicemente abituate a rapporti mediocri e noiosi, ma che avrebbe fatto insospettire qualsiasi ragazza reduce da una bollente e complice storia d’amore. La parte positiva, se così si può chiamare, era stata vedere una strana e repentina accettazione da parte delle amiche di lei, ora che la regina era diventata schiava e nel castello il re pareva assente, tutte non faceva altro che farle complimenti su quanto fosse bella e fortunata. La invitavano meno alle pizzate, proprio adesso che il bisogno di uscire si era fatto impellente, ma erano aumentati a dismisura lodi e sorrisi, oltre che apprezzamenti quasi eccessivi su quel giovane che in fondo poi “non era così male”. Erano finiti i tempi in cui lei ed il marito passeggiavano insieme, bellissimi, abbracciati, pensando solo a loro, avanzando come dei, stupendosi della banalità del mondo. L’ intenso erotismo fatto da sguardi, bellezza, morsi e passione, era diventato una routine squallida in cui Diego arrivava a casa dopo l’ennesimo colloquio andato male, si metteva a letto, e dopo un paio di carezze forzate le tirava giù il pigiamone, poi concludeva frettolosamente, le donava un altro paio di carezze, e dormiva. Sua sorella, che ormai viveva in quel modo da anni, le diceva che finalmente era cresciuta, maturata, e che la realtà grigia e svenevole che descriveva era in verità una sana e consueta normalità di cui doveva esserne felice, senza dipendere dai giudizi altrui. Doveva imparare a sentirsi bella e desiderata lei stessa, anche quando il marito ormai la dava per scontata in ogni momento, e smetterla di “cercare rassicurazioni”. In un groviglio di finta quiete e benessere, i due procedevano come coppia spargendo malumore e ansia. Su suggerimento di Diego, in memoria della propria madre, avevano chiamato la figlia Giovanna, una creatura ad ogni effetto splendida, vivace, e con tanta gioia di vivere. Chi la vedeva non faceva altro che lodare la sua audacia, oltre alla grandissima energia, e un’evidente e graziosa dolcezza. Ma presto, l’atmosfera cupa e tesa della casa donarono alla piccola un certo nervosismo, piangeva di notte, giocava sul materasso quando la mamma faceva il letto, e Monica non ne poteva più. In una situazione diversa probabilmente avrebbe capito che la ragazzina stava semplicemente crescendo, era normale che volesse esplorare il mondo, giocare, toccare la pappa o piangere se il cartone animato finiva. Invece no, lei era lì sola in casa, mentre Diego probabilmente chiacchierava amabilmente con Silvia, la ragazza del collocamento che aveva anche aggiunto sui social per “parlare di lavoro”, e a cui continuava a lasciare commenti, mettere like, mandare messaggi. Un senso di vuoto e insoddisfazione la assaliva più volte durante il giorno, quella vaga e alienante impressione di essersi incatenata i polsi con le sue stesse mani, perdendo l’ultima chiave per volare verso la libertà, troppo pesante un macigno del genere per essere trasportato in silenzio. Amelia, la sua migliore amica, diceva che anche il suo Giorgio era così. Non la tradiva concretamente certo, ma proprio non poteva evitare di flirtare online con colleghe e amiche, e se lei non lo avesse accettato il problema sarebbe stato suo, che in fondo non voleva “crescere”, era che lei povera illusa si faceva dei film per delle piccolezze, piccolezze però per lui indispensabili visto che proprio non ci avrebbe rinunciato. Col compagno Amelia aveva anche litigato perché lui, dopo qualche occhiata ammiccante, aveva aggiunto su Facebook Megan, un avvenente segretaria appena arrivata che ovviamente si era sentita lusingata dal fatto, iniziando vagamente a darsi dei toni stucchevoli quando Giorgio era nei paraggi. Non pienamente soddisfatta, la ragazza si era anche prodigata in fantasiosi racconti in cui spiegava candidamente davanti a tutti i colleghi come quell’uomo, quel caporeparto così gentile e galante, si fosse palesemente preso una cotta per lei, ma Giorgio non ci aveva dato peso senza neanche riprenderla per l’accaduto. Risultato, il pettegolezzo era ormai passato di bocca in bocca, come un gelato sfizioso, ed in ufficio ormai tutti vedendo Amelia ridacchiavano, facendola sentire una nullità. Monica ragionava e lentamente sfioriva, divorata da una frustrazione tagliente e pressante condivisa dalla società, che passava inosservata perché tanto, troppo comune. Lentamente una rabbia che neanche si spiegava la rendeva sempre più ansiosa e irascibile, fino a quando perse il controllo. Il suo amore non poteva essere diventato un comune rapporto mediocre retto solo da noia e abitudine, il problema doveva nascondersi altrove, per forza. Forse la causa del suo nervosismo era solo e unicamente la figlia, così poco sveglia da non comprendere e accettare le normali regole legate all’educazione. Forse Diego meritava più comprensione, più pazienza, ma la ragazzina no, o almeno si convinse di ciò. Un mattino, ad esempio, doveva andare al mercato, pulire, fare la spesa, e aveva litigato col compagno perché l’aveva definita” neanche più una donna”. La bimba si era svegliata con un sorriso magnifico e voleva il suo pupazzo preferito, ma Monica, lo aveva messo in lavatrice anche se sporco non lo era poi così tanto. Pensando che il suo amico non potesse vivere dentro la lavatrice, la piccola aveva iniziato a piangere, spiegando che Fru non sapeva nuotare, che dovevano liberarlo subito, doveva almeno avvertirlo, prepararlo, altrimenti avrebbe avuto paura. Piangeva, e non smetteva, rifiutandosi anche di mangiare. Monica, pensierosa e continuando a rimuginare su Diego, sentendosi incapace di gestire la situazione, dopo averle urlato in faccia, le aveva dato un ceffone. La bambina era come rimasta attonita un paio di secondi, aveva smesso, e da quel momento era rimasta in silenzio. Monica aveva tirato un potente sospiro di sollievo, non le interessava che la bimba capisse che il pupazzo non si sarebbe sentito male in lavatrice, ma solo poter finalmente mettere in ordine la casa, lucidare il pavimento, comprare quei cuscini che tanto stavano bene sul divano. Forse così tutto sarebbe tornato come prima, pulito e splendente. Pensò anche ingenuamente di aver risolto la questione “capricci”, perché dopo aver percosso la bambina una minima parte del nervoso che la tormentava sembrava svanire, lasciandola piacevolmente rilassata, in più la piccolina per tutto il giorno era rimasta zitta e triste in un angolo, guardandola di storto. Episodi del genere ormai capitavano di continuo. Una volta al parco aveva detto a sua figlia di non correre, ma la bambina aveva visto il suo amico dell’asilo e gli era andata incontro, finendo per cadere e sbucciandosi un ginocchio. Giovanna si era spaventata molto vedendo una piccola goccia di sangue uscire, tanto che una signora anziana l’aveva subito rassicurata dicendole che non era nulla, e presto sarebbe passato. Monica invece era furiosa, stanca, e pensando a cosa le avrebbe detto Diego vedendo il livido, aveva subito raggiunto la figlia per tirarle i capelli, e darle “il resto”. A casa, la ragazzina le aveva chiesto titubante se fosse giusto picchiare una persona perché cade, ma lei non aveva saputo rispondere, era imbarazzata senza capirne il motivo, si era limitata a dire che per due schiaffi nessuno era mai morto, così su padre ai tempi si giustificava quando la picchiava anche per piccole cose; quindi, probabilmente la risposta era quella giusta. Il tempo passava minaccioso fra amplessi rigidi e monotoni, amiche con cui trascorrere pomeriggi a lamentarsi, Diego che sfuggiva in modo sempre più evidente, lei che puliva fingendo una felicità che non esisteva più da un pezzo, la piccola Giovanna che pian piano imitava la madre tirando i capelli alle amiche se non pettinavano la bambola come voleva lei. Poi accadde qualcosa, in una notte buia e freddissima ma piena di stelle. Si dice che i temporali peggiori, quelli in cui regnano tuoni e fulmini, a volte arrivino di nascosto, celati dietro a grosse nuvole dall’aria accogliente che aspettano solo il momento buono per far sgorgare la pioggia. Giovanna dormiva insieme a Fru, se le era buscate perché si rifiutava di mangiare la minestra, un pastone insapore riscaldato e appiccicoso che probabilmente nessuno avrebbe neanche assaggiato, e siccome Monica non aveva voglia di preparare qualche altra cosa nonostante la scelta fosse anche piuttosto ampia ed economica, aveva prima fatto un discorso abbastanza forzato sull’Africa e i bambini che muoiono di fame, e poi esausta l’aveva presa a ceffoni. Dopo averla messa a letto, si era preparata un panino col formaggio perché a lei la minestra non piaceva, ma essendo adulta poteva scegliere cosa mangiare e cosa no, e dopo aveva aspettato Diego, che, come al solito, tardava. Due persone che si sono amate dovrebbero conservare un minimo di bellezza e dignità nel guardarsi, l’intesa non dovrebbe scomparire, spesso invece si perde chissà dove. Il battibecco col marito era nato per un motivo piuttosto futile, ma era degenerato quasi subito in un’esplosione di ira e odio. Parlarono animatamente, in alcuni momenti riuscirono anche a tirare fuori un minimo di civiltà, spazzata via presto però da un’animosità uscita da chissà quale risentimento represso per anni. La scena era pietosa, un uomo senza cuore che rinfacciava alla moglie cose come la bottiglia d’acqua che puntualmente veniva tenuta fuori frigo, un marito che si lamentava delle occhiaie di lei, e di quei pigiami troppo larghi, una ragazza piangente che lo accusava di essere freddo e poi strillava, qualche piatto rotto apriva le danze alla guerra. Poi un tonfo pesante, grave e mefistofelico, attraversò il tempo e si schiantò su quella che era stata una bella famiglia, o che almeno si credeva disperatamente tale. Di colpo ogni cosa non ebbe più alcun senso. In pochi minuti una pozza di sangue macchio il tappeto, spandendosi con forza e lentezza, penetrando la stoffa e lasciandosi appresso un odore nauseabondo. Monica se ne stava lì, stesa per terra, con gli occhi sbarrati e la pelle che man mano si faceva sempre più pallida e tenue, non era più bella, solo tremendamente triste in quella fermezza grave. Una statua di cera perfettamente in posa, cullata solo dal silenzio. Diego se ne era già andato da un pezzo, dando un ultimo fugace sguardo a Giovanna, che al momento si stava muovendo nervosamente sognando una minestra maleodorante, e stringendo il suo pupazzo. Era un uomo confuso, ma non si sentiva colpevole, la colpa non faceva parte del suo credo personale, un po’ come la fedeltà. Perché mai avrebbe dovuto sopportare le ansie di quella donna così insicura, fragile, che pian piano gli avvelenava la vita? Semplicemente scomparve nella notte, pensando a come ricominciare, illudendosi di poter scomparire come il protagonista di un thriller. Quando Giovanna sì alzò al mattino presto per prima cosa prese Fru. Sorpresa che non ci fosse nessuno in cucina ebbe un balzo vedendo la madre per terra. Pensò ad uno scherzo, un dispetto, come faceva lei quando si sdraiava sopra le piastrelle del salotto e le buscava perché la tutina si riempiva di polvere. “Se resti stesa ti sporchi la maglia“, poi la guardò riflettendo. “A me non importa va bene anche sporca, non ti sgrido”. Quel corpo immobile dai capelli scomposti che non rispose. Vide il sangue. “Se sei caduta tranquilla, non ti sgrido, anche a me al parco è uscito il sangue guarda”. E indicò una macchiolina sul ginocchio che tendeva a svanire. Nessuna risposta dal buio. Prese allora una decisione drastica. Per quanto tenesse a Fru, forse se la donna avesse saputo che era di nuovo da lavare lo avrebbe messo in lavatrice, e per farlo si sarebbe alzata. Allora lo mise vicino alla madre, sperando che forse quella visione la convincesse a smettere di dormire in quel modo, che le sembrava così “brutto”. Guardò di nuovo la madre immobile. “Ora sa nuotare, puoi lavarlo”. Affermò questo pur non credendoci davvero. E quando anche quel tranello così dolce non funzionò, si mise a piangere. Sua zia arrivò poco dopo e cerco invano di spiegare quello strazio, di rimettere in sesto il cuore di una bambina già scombussolato da sinuose ingiustizie camuffate da educazione, ora reso ancora più debole da quella infelice scomparsa. Giovanna crebbe e imparò ad amare, a rispettare, a riconoscere il bene dal male. Ma a distanza di anni, il ricordo di lei stesa per terra accanto alla madre era impresso nella mente come la drammatica scena di un film, di quelle che si vorrebbero saltare. Ancora oggi, nel suo letto, certe notti si svegliava piena di angoscia, e tornava ad essere una bambina tanto innocente da sentirsi in colpa con il suo pupazzo preferito per averlo minacciato di andare in lavatrice, e tanto matura da essersi accorta di come la madre non avrebbe più potuto risponderle.


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