Il vuoto.

Avere cinquantasei anni poteva essere quasi divertente. Il conto in banca non deludeva, era passata la rabbia giovanile che ti accompagna almeno fino ai quarantacinque, scomparse le insicurezze adolescenziali che ti fanno rattristare per un brufolo e sorridere per un rossetto nuovo trovato in sconto. La casa era oggettivamente bella, e finalmente sua, o meglio finalmente loro. Lei e Adamo l’avevano comprata anni fa, e solo da pochi mesi il mutuo era finito, rendendola ancora più consapevole di quanto le sue radici ormai fossero tristemente piantate lì, in quel luogo apparentemente perfetto in cui aveva nascosto la sua gioventù e i suoi sogni, abbellendo il tutto con un arredamento impeccabile, ricevendo anche molti complimenti per la scelta dello stile, così luminoso, fresco, pieno di vitalità . Quella vitalità  che avrebbe tanto voluto avere lei, una scintilla che si era persa pian piano negli ingorghi del tempo. Angela poteva vantare ancora un aspetto piacente, florido, i capelli lunghi biondi le scendevano sin nella vita, occhi azzurri ricordavano vagamente i fiori in primavera, il corpo era flessuoso e morbido, e quando indossava il suo vestito preferito le brillava il viso di una luce propria indescrivibile, somigliante solo al sole quando scalda la pelle in inverno, e sovrasta il freddo. Adamo, suo marito,  quella sera si era fermato di nuovo in caffetteria, ormai lo faceva sempre. Da quando era arrivata la nuova barista, una donna sui quarant’anni piacente e vistosa, quel posto era quasi un appuntamento fisso. In realtà la ragazza del bar non faceva nulla di che per essere notata, semplicemente a volte chiacchierava del più e del meno, magari dando spesso ragione agli uomini presenti su argomenti comuni tipo tradimenti, divorzio, sessualità, ma in fondo lo faceva per avere qualche consenso in più, non vi era cattiveria in lei, solo un po’ di esibizionismo. Poi ritornava a casa e stava col suo ragazzo, magari prendendo bonariamente in giro quei signori che parevano sbavare ad ogni sua battuta, e la cosa finiva lì.  Ma per Angela, quelle battute innocenti, quel fare   civettuolo di lui che davanti alla giovane diventava sempre più galante e cortese, erano delle vere pugnalate, un insulto a quella che era stata la loro storia d’amore, e che poi era divenuta una triste ed esasperata convivenza. L’incubo si era insidiato nella sua vita già dopo qualche anno di matrimonio, ma rivelato in modo evidente dopo la nascita di Eva, la loro prima figlia. Erano in ospedale, lei aveva avuto dei gravi problemi, nonostante avesse partorito da giorni l’avevano fatta rimanere a letto più del dovuto, la piccola riposava, i parenti erano andati a trovarla, si sentiva uno straccio sia fisicamente che mentalmente. Mentre erano tutti li, a discutere sul da farsi, un’infermiera aveva afferrato alcune coperte dall’armadio per portarle chissà dove, e poi si era limitata a salutare cordialmente. Il fisico era slanciato, tonico, indossava quell’uniforme in modo delizioso, e anche i modi erano piacevoli e gentili, si era anche premurata di chiedere se avessero bisogno di qualcosa. Adamo, facendo l occhiolino a suo cugino, non si era trattenuto dall’esprimere un certo apprezzamento, ma specificando che ovviamente non ci sarebbe andato mai, perché era sposato e quindi non poteva. Lei era lì, ancora sanguinante, con il corpo sfasciato dal parto, il cuore che batteva scioccamente come il primo giorno per quell’uomo sposato undici anni prima, e lui aveva fatto intendere che probabilmente quello era l ultimo posto in cui avrebbe voluto essere, rispetto al letto della rossa giunonica, e cosa atroce la tizia lo aveva capito. Sua sorella recependo la situazione lo aveva fulminato con lo sguardo. La zia minimizzava, già il giorno delle nozze il marito aveva fatto il cascamorto con tutte le damigelle, spiegando che il fatto in se non fosse poi così grave, non ci sarebbe mai andato a letto per un fattore di rispetto, e perché era proibito farlo. Angela appariva mortificata, spogliata dalle sue convinzioni, nuda e indifesa nei suoi tentativi di giustificare qualcosa di palesemente evidente. Non sapeva se piangere o meno, avrebbe fatto la figura della matta, dell’isterica, guardò la sua bambina appena nata, la cosa più bella della stanza, un bagliore nel vuoto che brillava nel mezzo di quei minuti così pesanti, la fissò ancora intensamente, e passarono altri ventisei anni in cui come donna si sentì inutile. Ma era accaduto qualcosa. Pian piano, la mente di lei aveva iniziato a vacillare, era di cattivo umore, dimenticava le cose, e suo marito le diceva scherzando che non sapeva proprio come fare a sopportarla. Poi certo le dava un bacio, portava le fragole per farsi preparare le crostate, dava una mano a pulire il cortile, ogni tanto comprava una rosa e sorridendo le diceva che era per lei, appoggiandola nel vaso in cucina. Molte sue amiche la ritenevano una donna decisamente fortunata. Lui non la picchiava, economicamente erano agiati, fisicamente non l aveva mai tradita, qualche volta faceva i lavori domestici. Ma nessuno aveva notato quel guizzo di follia apparso da ormai diversi mesi nel volto di lei, pupille arrossate sature di meschinità e desideri mai avverati, il corpo aveva perso tono, il sesso divenuto mero orefizio adatto solo alle funzioni biologiche. Lui tornava a casa, e dopo aver tardato per parlare un po’ con la commessa, la cassiera, la donna delle pulizie, il suo capo, si chiedeva come mai sua moglie non fosse lì pronta ad accoglierlo, vogliosa di stare con lui, considerava la sua depressione come uno sterile capriccio. In fondo quelle chiacchierate erano solo uno svago, una pausa dalla sua lagnosa vita matrimoniale, non sarebbe andato con quelle bellissime donne, quindi perché essere gelosa di una giovane a cui stava semplicemente dando più attenzioni? Doveva essere una scusa, possibile che davvero non avesse più voglia di fare sesso con lui, come all’inizio, quando la faceva sentire al centro del suo mondo? Le donne dovevano essere tutte pazze. Ma lui era buono, e ci stava lo stesso, sopportando quel suo essere lunatica e intrattabile. Angela si preparò con cura. Indossò il suo abito più elegante, pettino con amore quella chioma bionda che tanto aveva venerato da giovane, passò il rossetto su quelle labbra sottili e secche.  Aprire la finestra della camera da letto la fece sentire libera. Quel vento che la trasportava negli anni verdi, con la sua splendete gioventù che ritornava, il sapore del sale marino in bocca, quei costumi troppo sgambati che facevano arrabbiare sua nonna, Adamo da ragazzo che la corteggiava in modo incessante. E poi un ricordo. Erano molto giovani, stavano scherzando in riva al mare. Lei si sistemava la treccia, lui la ammirava. Una loro amica, piuttosto avvenente, si era avvicinata per chiamarlo. Lui non l’aveva degnata di uno sguardo, ma non perché non potesse farlo, semplicemente l oggetto delle sue premure era già li, la stupenda fanciulla dai lunghissimi capelli dorati, era lei che catturava ogni millimetro della sua attenzione. Erano rimasti a fissarsi negli occhi senza quasi accorgersi della tizia, che sorpresa è un po’ amareggiata se ne era andata via. Poi si erano baciati. Ripercorse mentalmente a quel momento, e senza paura si mise in piedi sul cornicione, tenendo sempre gli occhi chiusi, avvolta in quel ricordo in cui era stata felice. Un soffio gelido si fermò sulla sua fronte, quell’equilibrio già precario si spezzò in due, non era spaventoso cadere, pareva di volare, con ali maestose come aquile, senza solitudine, la terra che pian piano si faceva più vicina, velocemente la chiamava a se, la forza di gravità implacabile che nonostante tutto le sembrava amica. E poi una pace meravigliosa si impossessò di lei, era tutto finito. 

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